Pubblicato il 28 ottobre 2016
L’avvento del digitale ha posto le istituzioni museali davanti a un bivio: se gli artisti hanno accolto la tecnologia come legittimo elemento espressivo, i musei e gli altri centri di cultura devono trovare il modo (e spesso il coraggio) di affrontare la sfida della trasformazione digitale.
C’è poi un terzo elemento da prendere in considerazione, forse il più importante di tutti: l’utente, ovvero chi osserva e vive l’esperienza dell’arte. Cosa c’entrano iBeacon e app mobile con l’arte? La tecnologia può aiutare la visione e comprensione dell’opera? O si pone come elemento di disturbo?
L’arrivo sugli app store iOS e Android del primo tassello del progetto La Vita delle Opere - sviluppato da Neosperience in team con l’Università di Pisa, Torino e Venezia - offre lo spunto ideale per raccontare proprio come è possibile utilizzare la tecnologia al servizio del patrimonio culturale. Dando vita a una nuova modalità di visita - e vita - del museo, che possiamo definire ‘slow digital experience’.
Il riferimento a un caso specifico, inoltre, consente di passare da un piano speculativo a uno pratico. Perché quella che, a prima vista, potrebbe sembrare una mera questione filosofica deciderà, in buona sostanza, il destino stesso dei musei e di tutti quei luoghi deputati alla conservazione della memoria artistica e culturale.
Il dato di partenza innegabile, comune a tutti brand che si muovono nell’era del digitale, è la necessità di declinare contenuti noti in nuove forme di comunicazione, che riescano a coinvolgere (soprattutto) le nuove generazioni in percorsi complessi. L’oggetto temuto - lo smartphone - deve diventare parte essenziale dell’esperienza, che accompagna l’utente prima, durante e dopo la fruizione dell’opera.
Le istituzioni museali devono, allora, imparare ad accogliere i nuovi strumenti digitali e costruire attorno ad essi un nuovo percorso esperienziale. Solo così Internet e i dispositivi mobile smetteranno di essere ostacoli alla fruizione, diventando strumenti per rafforzare e ‘aumentare’ l’esistenza di un’opera, liberandola dai confini fisici.
Prima di raccontare la slow digital experience de La Vita delle Opere - disponibile al momento per la Reggia di Venaria, cui seguiranno Gallerie dell’Accademia di Venezia, Museo nazionale della Certosa di Calci, Museo di Villa Guinigi e Museo di Palazzo Mansi a Lucca, Galleria civica “Lorenzo Viani” a Viareggio, Museo Diocesano a Massa - facciamo un passo indietro. Per capire come è cambiata l’esperienza con l’avvento dello smartphone.
Le paure di tante istituzioni, infatti, si scontrano con la realtà di un mondo che è già cambiato: Internet prima e i device mobile poi hanno provocato una mutazione antropologica e sociale che, a sua volta, ha modificato profondamente la modalità di approccio a tutte le attività della vita di ogni giorno. Incluso l’accesso al patrimonio culturale. Le persone vivono già in bilico costante tra mondo reale e virtuale, connesse 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Ogni singola informazione prodotta è a portata di tap.
Lo schermo dello smartphone non solo è diventato il nostro riferimento principale quando abbiamo bisogno di trovare informazioni o di acquistare prodotti; è anche diventato il fattore che scandisce il flusso dell’esperienza. Per dirla con Google, l’avvento del mobile ha frammentato la quotidianità in una sequenza non lineare di Micro Momenti, ovvero interazioni frammentarie caratterizzate da motivazioni e scopi specifici.
Per i musei diventa quindi essenziale riuscire a raggiungere gli utenti nei micro momenti più significativi, sfidando i limiti temporali e di attenzione. L’unico modo per riuscirci è offrire valore aggiunto nell’ambito di una esperienza complessiva appagante e coinvolgente (la digital customer experience).
L’esperienza diventa il vero elemento di differenziazione, anche quando si racconta una storia. Per i musei questo significa trasformare il problema in opportunità: utilizzare la tecnologia per cercare di dilatare gli istanti di attenzione e aumentare l’esistenza dell’opera e l’esperienza della visita.
Ecco perché parliamo di slow digital experience ed ecco perché, per i musei e le istituzioni culturali, avere una presenza digitale non rappresenta più il punto di arrivo del percorso di rinnovamento. Essere presenti online è, semmai, requisito di partenza per costruire una storia più complessa: raggiungere e coinvolgere gli interlocutori quando e dove importa davvero. Prima, durante e dopo la visita.
Partendo da questo presupposto, La Vita delle Opere ricompone il discorso attraverso uno strumento (app mobile) che contribuisce allo storytelling dell’opera, rendendo più appagante l’esperienza di visita del museo. Facilità di utilizzo e complessità dei contenuti convivono per dare nuova vita alle opere d’arte, superando gli ostacoli del micro momento e dilatando il tempo di fruizione.
Un cambio di prospettiva notevole se si pensa che iBeacon, notifiche e localizzazione si sono imposti negli ultimi tempi come strumenti utilizzati dalle aziende per accorciare il processo decisionale, sfruttando l’impulso per ingaggiare il cliente quando è pronto a compiere il passo decisivo verso la conversione.
Al contrario, la connessione tra device mobile e iBeacon viene qui utilizzata per rallentare il ritmo e promuovere un percorso di approfondimento che parte dall’opera e completa lo storytelling con la sua ‘storia conservativa’.
Lo scopo dichiarato del progetto La Vita delle Opere è quello dilatare il ciclo di vita dell’opera, rallentando la customer experience e trasformando la visita in un viaggio entusiasmante e ricco di dettagli che rimandano il sapore della storia. L’opera esplode al di là dei suoi stessi confini fisici, vincendo l’inerzia di una cornice o di un piedistallo per diventare vero e proprio interlocutore per il visitatore.
Alla luce di quanto detto finora, l’immagine di un gruppo di ragazzini - quelli che in marketing sono conosciuti come millennial customers - con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone durante una visita al museo è davvero così dissacrante? Temere - o peggio ancora demonizzare - la tecnologia non aiuta a comprenderne le reali potenzialità per costruire strategie di engagement in settori difficili e spesso percepiti come ‘antichi’.
Nel caso de La Vita delle Opere, il meccanismo è evidente: una notifica risveglia lo smartphone del visitatore e lo invita ad avvicinarsi all’opera. Qui lo attende una ricca scheda multimediale (audio, video, foto, testo) che racconta in modo approfondito quello che sta vedendo e lo invita a condividere la sua esperienza, stimolando così il dialogo e la conoscenza.
Se messa al servizio dell’opera, l’app non non sostituisce la visita diretta; si propone, piuttosto, come veicolo di contenuti interessanti e mirati, che aiutano a vincere la difficoltà di trattenere l’attenzione di utenti abituati a interagire con le informazioni in tempo reale e ottenere tutto e subito.
Chiudiamo come abbiamo aperto, con una domanda: Come può il museo, che per sua natura volge lo sguardo al passato, sopravvivere alla rivoluzione digitale?
L’entusiasmo generato dal lavoro su La Vita delle Opere, unito alle esperienze che arrivano dall’estero - Ruks di Amsterdam, Moma di New York, Tate Gallery di Londra, per citare i più celebri - dimostrano che il successo, anche per le istituzioni culturali, è il risultato della capacità di parlare lo stesso linguaggio degli utenti.
Le parole chiave? Abbracciare l’evoluzione digitale; rinnovare contenuti e modalità di comunicazione; giocare con le opere e i visitatori. In sintesi, costruire una slow digital experience che coinvolga i visitatori in una esperienza interattiva e memorabile.