Pubblicato il 04 aprile 2023
Quando abbiamo fondato Neosperience, avevamo ben chiaro che lo sviluppo della tecnologia non può essere svincolato dalla costruzione di un mondo migliore, dove gli utenti connessi non sono semplici punti di una rete, ma individui che sviluppano relazioni in modo creativo, proattivo, generativo.
L'empatia è per noi quel potere che fa crescere la tecnologia all'interno della vita. Per questo, abbiamo creato un soggetto, interamente no profit, che si occupa proprio di progettare la crescita digitale all'interno di ampi orizzonti culturali: Neoslogos.
In questo articolo affronteremo il complesso tema del rapporto tra cultura e digitalizzazione cercando di capire dove siamo, dove andiamo e come possiamo continuare a costruire un mondo che sia migliore tecnologicamente e umanamente.
Negli anni '90, il colosso americano Starbucks dichiarò che la sua mission era diventare il "terzo luogo" familiare di ogni persona, quello che tutti avrebbero frequentato al pari di casa e ufficio. A distanza di pochi decenni, possiamo dire che è il digitale ad essere diventato il "terzo luogo" della nostra vita, considerato che trascorriamo ormai circa sette ore della propria giornata sul Web.
Dunque, un terzo della nostra intera vita lo passiamo in uno spazio virtuale, fatto di "connessioni", in cui cerchiamo contenuti, informazioni, ispirazione, condividiamo esperienze, costruiamo relazioni.
È indubbio che, osservandoci con gli occhi dell'etnologia, della sociologia e dell'antropologia culturale, l'homo sapiens vive l'alba di un'evoluzione frenetica, che lo sta mutando in quello che viene già identificato come homo digitalis. Questa creatura umana non ha ricordi di una vita pre-digitale, non è più in grado di sviluppare alcun aspetto della propria esistenza in ambienti e modalità analogiche, sta mutando le sue capacità di apprendere e memorizzare.
In altre parole: l'homo digitalis sta sviluppando una sua cultura, caratterizzata da "valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e attività materiali, che caratterizzano il modo di vita del suo gruppo sociale".
Se l'antropologia ci racconta della faticosa e spesso conflittuale convivenza tra specie umane diverse, che per millenni hanno convissuto sullo stesso pianeta, cosa può succedere oggi, che ben due generazioni interamente digitali convivono con almeno quattro generazioni che hanno sviluppato la propria identità, singolare e sociale, in un mondo analogico?
È chiaro che il problema del nostro tempo non è tecnologico, ma culturale.
Il pensiero critico e la potenza creativa sono le capacità, tutte umane, di guardare un fenomeno e intuirne ogni possibile implicazione, da quelle etiche ed emotive fino agli scenari fisici e materiali. Gli esseri umani sviluppano la propria cultura sociale prima di tutto elaborando e condividendo scenari o, se preferite, idee di futuro.
Con Neoslogos facciamo esattamente questo: lavoriamo per trasformare le intuizioni, le visioni e gli obiettivi in progetti, capaci di generare altre visioni e dunque altri progetti, e così via. Nel tempo che abitiamo, i progetti sono anche tecnologici, gli scenari anche virtuali e, in generale, ogni idea di futuro implica anche la dimensione digitale.
Nonostante i rallentamenti e l'allarmismo, lo sviluppo tecnologico avanza inesorabile. Di fronte alla velocità delle macchine, è inutile pensare di tenere il passo, ma vale la pena chiedersi come possiamo guidarle; e, soprattutto, verso quale futuro vogliamo andare.
Con qualche licenza, possiamo dire che esistono tre grandi visioni dell'homo digitalis.
La prima si limita a considerarlo un cyborg, ovvero un essere umano su cui la tecnologia innesta delle capacità che richiedono lo sviluppo di nuove competenze. È una visione molto pragmatica, che prende atto di una realtà innegabile e irreversibile.
In questa prospettiva, l’innovazione tecnologica ha bisogno di essere guidata da una nuovo rinascimento culturale per stringere un'alleanza feconda e duratura tra conoscenza e competenza.
A un estremo si colloca invece il transumanesimo, che vede l'essere umano come l'abbiamo conosciuto finora destinato a essere rimpiazzato da una creatura altamente performante ed efficiente, con parti intercambiabili e processi fisiologici totalmente presidiati.
Troppo complesso per essere riassunto in poche righe, il transumanesimo arriva da lontano, investe l'etica, la filosofia, la medicina, perfino l'escatologia e sconfina spesso in una spiritualità in cui la fede nella tecnologia è indistinguibile da quella religiosa. D'altronde, alzi la mano chi non ha mai accarezzato, anche solo per pochi attimi, l'idea di poter superare ogni limite del corpo umano umano, dalla fatica, alla malattia alla morte.
Infine, al lato opposto del ring, troviamo i bioconservatori, ovvero coloro che si impegnano per lo sviluppo di un'etica nuova, che ricordi agli esseri umani la loro relazione con il fragile ecosistema di cui sono parte, l'esistenza di limiti fisici e cognitivi; ma anche che puntualizza le differenze incolmabili tra macchine e persone, valorizzando la singolarità della vita e dei viventi contro la modellizzazione tecnologica e l'iteratività algoritmica.
Ecco che, di fronte al futuro della tecnologia, il nostro sguardo si posa ostinatamente sugli essere umani, singoli e sociali: ancora una volta, il nostro problema è culturale.
Il digitale ha aumentato la cultura o l'ha impoverita? Di sicuro, l'ha messa in crisi.
L'essere umano ha sviluppato ciò che chiamiamo “cultura” prima di tutto attraverso l'esperienza. Non è un caso che l'etimologia stessa della parola derivi dal latino colĕre, ossia coltivare: alla base della conoscenza ci sono l'impegno, la dedizione, la competenza, la cura.
La conoscenza "nutre", "getta semi" e "genera frutti", esattamente come l'agricoltura: è un nutrimento e una dimensione in cui le persone interagiscono e condividono, anche a garanzia delle generazioni che verranno.
Anche nel digitale "coltiviamo" la nostra cultura: ci passiamo del tempo, acquisiamo competenze, sviluppiamo nuove modalità di interazione, studiamo, lavoriamo, scambiamo opinioni, costruiamo comunità unite da valori e credenze. E questo mentre continuiamo a coltivare la dimensione materiale (che noi tecnici chiamiamo fin troppo spesso analogica).
Il mondo digitale non si è sostituito al mondo, piuttosto si è aggiunto: il nostro è un mondo in cui la realtà e l'esperienza possono essere "aumentate" dalla tecnologia. Di più però non vuol dire necessariamente migliore: bisogna che anche il digitale sappia "nutrire" e "generare frutti" a beneficio delle nuove generazioni.
Questa è la nostra visione della cultura: qualcosa che si aggiunge alla realtà per far sì che l'esperienza sia migliorativa, più emozionante, più empatica, più profonda. La "cultura del digitale" è tutta da costruire, esattamente come il "digitale per la cultura". Il nostro punto di partenza è la curiosità, senza inutili pregiudizi, timori e stereotipi.
Per questo, il claim scelto da Neoslogos è Culture in progress: perché la cultura è la più dinamica tra le relazioni umane, in costante evoluzione, capace di immaginare un mondo in cui c'è spazio per piccoli passi e grandi domande, in cui la prima connessione da potenziare rimane, ora e sempre, quella tra le persone.