Pubblicato il 17 novembre 2019
Se fino a non molto tempo fa si pensava che il suo utilizzo si sarebbe limitato alla produzione industriale, alle mansioni ripetitive e, in generale, ai compiti che non arricchiscono lo spirito umano, oggi, questa supposizione non è più valida. Oggi l’IA è anche artista.
Pittura, scultura, poesia, fotografia, cinema; non esiste campo artistico in cui l’Intelligenza Artificiale non sia stata applicata almeno una volta, con risultati spesso sorprendenti.
Il campo musicale è, al momento, quello maggiormente coinvolto in questa rivoluzione della creatività, probabilmente perché la musica, in fin dei conti, è un’arte che vive di matematica e fisica, quindi predisposta all’influenza di algoritmi, codici e dati.
Le ultime pubblicazioni di album, colonne sonore e canzoni, da parte di artisti o società che hanno utilizzato un qualche strumento basato sull’Intelligenza Artificiale, hanno terrorizzato il mercato discografico. Secondo gli addetti ai lavori oggi il settore rischia, se non la distruzione, una profonda rivoluzione. Ma è veramente così? In altre parole, è giusto o no sparare sul pianista… artificiale? Ovviamente, tutto dipende dall’uso che se ne fa, e da come suona...
Anche se il discorso meriterebbe una trattazione molto più esauriente, si può semplificare spiegando che, per imparare, all’IA vengono date in pasto migliaia e migliaia di canzoni; tramite le reti neurali (modelli matematici che imitano le reti neurali biologiche) che lavorano tramite machine learning (la capacità di apprendimento automatico), e in particolare attraverso il deep learning (sottocategoria del ML che è anche in grado di inferire significati senza supervisione umana), questi brani vengono frammentati e studiati. La macchina, riesce a estrarre le informazioni di base ed è in grado di riconoscere i pattern che può utilizzare per creare opere originali, simili a quelle che qualsiasi artista potrebbe comporre.
Se il processo di apprendimento è simile per qualsiasi sistema basato sul machine learning, esistono però due differenti applicazioni dell’IA alla musica: Flow Machines di Sony e Magenta di Google si pongono ai due estremi.
La prima, infatti, non è un’Intelligenza Artificiale creatrice, o almeno non nel senso in cui noi intendiamo il termine; si limita a facilitare il lavoro dell’artista, permettendo alla persona di liberare la propria creatività, stimolandola con suggestioni e idee in base alle sue preferenze e attitudini.
Magenta, invece, è un vero e proprio compositore artificiale che, a seconda degli input che gli vengono forniti, riesce in autonomia a creare una traccia originale. La qualità della composizione non è ancora soddisfacente sotto molti punti di vista, ma l’innovazione tecnologica cresce esponenzialmente e così i suoi risultati.
Questi ovviamente non sono gli unici due strumenti disponibili al momento; anzi, il loro numero è in crescita: fra gli altri, si possono citare AIVA, MuseNet di OpenAI, Amper e Jukedeck. Ognuno è specializzato su una qualche caratteristica e funzionalità, ma tutti hanno in comune il fatto di aver attirato su di sé l’attenzione di media e investitori.
Se poi consideriamo anche gli algoritmi di suggerimento delle piattaforme streaming come Spotify o Apple Music, o tutte le applicazioni dell’IA nel campo dei tool di editing, appare chiaro come la penetrazione di questa tecnologia nel campo musicale sia più avanti di quanto potremmo credere.
Quali sono però le possibili conseguenze di un rapporto così stretto fra Musica e Intelligenza Artificiale? Almeno sul breve periodo non si dovrebbero percepire sostanziali cambiamenti nel modo in cui ascoltiamo o scegliamo la nostra musica.
Alcune canzoni e album “artificiali”, come “I AM AI” di Taryn Southern, cantato dalla performer ma composto, suonato e prodotto dal software open source Amper, continueranno a uscire e otterranno sicuramente un buon successo commerciale, ma saranno eccezioni, e probabilmente verranno apprezzati per l’innovatività, non per la loro qualità intrinseca.
Segno di questa evoluzione è l’acquisizione da parte di TikTok, uno dei social network di maggior successo dell’ultimo periodo e amato soprattutto dalle nuove generazioni, di Jukedeck, che abbiamo citato prima come uno dei migliori tool intelligenti per la composizione di musica.
Immaginate cosa potrebbe nascere da questo matrimonio. Magari avremo la possibilità, una volta iscritti al social, di creare una nostra canzone, aiutati da una IA evoluta, per poi cantarla e condividerla con gli amici; si potrebbe così abbattere la barriera, per la maggior parte delle persone insormontabile, dell’apprendimento di uno strumento musicale.
Questo racconto è ovviamente frutto della nostra fantasia, per quanto bello (o spaventoso per alcuni) possa essere. Indubbiamente le cose stanno cambiando, e la musica sta affrontando molte trasformazioni, stimolate dall’innovazione tecnologica (concerti in realtà aumentata, artisti non più attivi che tornano a cantare sotto forma di ologrammi, bitcoin per acquistare brani e album direttamente dai cantanti...e molto altro).
In definitiva, per rispondere alla domanda che ci eravamo posti in principio: è giusto sparare sul pianista “artificiale”? Se c’è una cosa che è sempre vera è che bloccare l’innovazione è controproducente. L’obiettivo è riuscire a guidarla sulla giusta strada, così da permettere una trasformazione dolce per artisti e addetti ai lavori, affinché nessuno ne risulti danneggiato.
L’intelligenza Artificiale nasce come strumento per abilitare o facilitare le attività umane; in questo caso, se sapremo utilizzarla a dovere, potrà stimolare la creatività delle persone, dando forma infine a un’arte alla portata di tutti.