Una delle strategie che ha dimostrato di avere il maggior successo è stata la creazione di brand community.
Il case study che ha fatto “storia” per precocità e successo è la community di Nike+.
Nata in principio come device per il tracking dell’attività sportiva degli utenti, da inserire all’interno della scarpa e collegato a iTunes, è cresciuta fino a rappresentare una compagna di allenamento inseparabile per milioni di persone.
Dal 2006 ad oggi Nike+ si è profondamente trasformata, anche grazie all’avanzamento tecnologico. Oggi conta due applicazioni principali: Nike Training Club e Nike Run Club.
Queste permettono all’utente di:
Il segreto del successo di Nike+ è stato l’aver compreso e assecondato la recente esplosione della volontà del pubblico di condurre uno stile di vita sano.
Ciò che però ha permesso di mantenere e far crescere la community è stata la qualità e la gratuità dei contenuti che venivano proposti al pubblico. Dando valore ai propri iscritti, Nike ha guadagnato l’amore e la fedeltà degli sportivi: un valore unico e senza prezzo, considerando quanto oggi è difficile fidelizzare il pubblico, soprattutto quello dei più giovani.
Dal punto di vista pratico, Nike ha valorizzato il successo della propria brand community per vendere e far conoscere i nuovi prodotti sulla piattaforma; all’interno dell’app è presente uno shop dedicato all’abbigliamento per running e fitness, coerentemente con l’applicazione utilizzata.
Un altro esempio di brand community di successo è quello di Adidas che, quattro anni fa, ha deciso di acquistare l’applicazione per runner Runtastic.
Il suo successo può essere comparabile a quello di Nike+, anche se questo si deve soprattutto alla grande diffusione che Runtastic aveva prima dell’acquisizione. Le funzionalità all’interno rimangono le stesse di Nike+; la scelta dell’utente è, quindi, una scelta di cuore più che di vantaggi pratici (ma non è forse questo il tema essenziale delle brand community?)
Se nell’abbigliamento sportivo si contano numerosi esempi di questo tipo, il problema (o l’opportunità) maggiore è trovarne in altri settori merceologici o di servizio.
Un esempio può essere la community che Sephora ha sviluppato negli anni all’interno del proprio sito. La sezione dedicata permette agli utenti di conversare con gli altri iscritti, di pubblicare i propri contenuti originali all’interno della bacheca del sito e di partecipare agli eventi che vengono organizzati in esclusiva per i membri.
Un altro case study interessante è quello di Lego Ideas, la community del gigante danese dei mattoncini. La caratteristica unica qui è la possibilità che viene data agli utenti di diventare creatori delle loro stesse idee.
Infatti, agli iscritti viene chiesto di ideare dei giocattoli originali e di condividerli con la rete.
Se le loro creazioni raggiungono almeno 10 mila sostenitori all’interno della community, ecco che la Lego decide di inserirle all’interno della propria linea di distribuzione, rendendole disponibili al pubblico.
L’unicità di questa piattaforma è data dallo scarso coinvolgimento della Lego al suo interno. Infatti, questa non deve neanche dedicare tempo ed energie a creare contenuti originali; ci pensano in autonomia gli utenti a mantenere viva la piattaforma.
Conclusa la panoramica di alcuni dei case studies più interessanti, è giusto parlare degli strumenti utili a creare la propria brand community.
In generale, queste possono essere di due tipi: web o mobile. La prima sarà necessariamente più simile a un forum vero e proprio, come abbiamo visto per il caso di Sephora. Il secondo, invece, offrirà principalmente servizi all’utente per convincerlo dell’essenzialità dello strumento, come succede per le applicazioni Nike+.
Ciò che rende possibile il coinvolgimento e la fidelizzazione degli utenti è il rispondere a una loro necessità e, allo stesso modo, l’aver creato dei contenuti esclusivi e di valore.
Il primo punto è fondamentale: se non c’è domanda, ovviamente non ci sarà offerta. Il secondo permette agli utenti di sentirsi importanti e al centro dell’esperienza; lo stesso effetto che si ottiene, peraltro, dando la possibilità agli iscritti di creare e condividere i loro stessi contenuti.
Un’altra caratteristica comune alla maggior parte degli esempi è la presenza di dinamiche di gamification, al fine di premiare i comportamenti virtuosi degli utenti; che sia uno sconto o semplicemente un badge, poter legare le attività a un riconoscimento aiuta a fidelizzare il pubblico e a migliorare l’esperienza in generale.
La personalizzazione dell’esperienza è, anch’essa, oltremodo importante. Sebbene la creazione di contenuti e l’offerta di servizi sia una parte essenziale, se questi non si personalizzano sulla base delle caratteristiche degli utenti si rischia di abbandonare grossolanamente una grossa fetta di pubblico, che magari non si sente rappresentata dai contenuti offerti perché o troppo “da esperti” o troppo “da principianti”.
Quest’ultimo fattore mette in evidenza uno dei vantaggi propri della creazione di una brand community, ovvero la possibilità di recuperare informazioni qualitative sugli utenti.
È già stato scritto innumerevoli volte che i dati sono l’oro del terzo millennio; ebbene, una brand community è quello che più si avvicina a una miniera piena di pepite.
Quindi, oltre al guadagno per la semplice rivendita dei propri prodotti agli appassionati, oltre al risparmio per essere riusciti a fidelizzare i clienti, il brand, grazie alle informazioni che riesce a recuperare, è in grado di trarre importantissimi insight sul proprio pubblico.
In definitiva, le brand community sono strumenti potentissimi per fidelizzare i propri clienti e per potenziare la propria offerta di prodotti e servizi. La creazione di un rapporto di valore fra brand e pubblico è un elemento essenziale per poter rimanere rilevanti all’interno di un panorama sempre più complesso e competitivo.